Il più grande sbaglio nella vita è quello di avere sempre paura di sbagliare.
Elbert Hubbard
Uno dei concetti cardine della psicoterapia strategica sono le tentate soluzioni. Questo concetto viene esaminato chiaramente, per la prima volta, in due splendidi libri, entrambi chiamati “Change”, rispettivamente del 1974 con autori Watzlawick,, Weakland e Fish, e del 1982 con autori Fish, Weakland e Segal. Questi autori, prendendo spunto dall’azione geniale e innovatrice di Milton Erickson, il primo terapeuta ad aver utilizzato il termine “ terapia breve”, teorizzano che i problemi si formano e si mantengono dalle tentate soluzioni che opera la persona per risolverli.
In altre parole: “La nostra esperienza clinica ci ha ripetutamente indicato quanto segue: per strano che possa sembrare, ciò che più di ogni altra cosa contribuisce al mantenimento o all’esacerbazione di un problema è un qualche aspetto della soluzione tentata dal paziente, è il modo stesso in cui egli sta cercando di cambiare il problema medesimo. Potremmo così riassumere il nostro punto di vista sull’origine e la persistenza di un problema: un problema nasce da una delle difficoltà della vita, sempre presenti, che può essere dovuto a un avvenimento inusuale o fortuito. Il più delle volte, tuttavia, è facile che l’inizio di un problema sia dovuto ad una comune difficoltà […].
La maggior parte della gente affronta queste difficoltà in modo ragionevolmente adeguato (non è né comune né indispensabile affrontarle alla perfezione), cosicché non li troveremo mai nei nostri studi. Perché invece una difficoltà si tramuti in problema, occorre che siano soddisfatte le seguenti condizioni: la difficoltà viene affrontata in modo non adeguato, e non riuscendo a risolvere la difficoltà, non si fa che applicare di più la stessa soluzione. In questo modo si assiste ad un inasprirsi della difficoltà originale, e si entra in un circolo vizioso che condurrà ad un problema, che alla fine avrà mole e natura apparentemente del tutto dissimili dalla difficoltà iniziale stessa” (Fish, Weakland, Segal, p. 24, 1982).
Quindi una volta persa la spontaneità di un comportamento tutto quello che la persona fa per riacquistare tale spontaneità, non solo risulta inutile, ma non fa altro che costruire e rafforzare il problema stesso.
Parafrasando William Hazlitt, “non facciamo mai niente bene finché non smettiamo di pensare a come farlo” .
Fish, Weakland e Segal, dal lavoro pioneristico di Milton Erickson sviluppano un modello di psicoterapia strategica, sono d’accordo nel considerare, come focus della psicoterapia breve, i comportamenti delle persone.
Infatti scrivono: “Per noi i problemi sono problemi di comportamento, e il comportamento messo in atto a causa di un problema psichiatrico non è intrinsecamente diverso da qualsiasi altro tipo di comportamento: sono tutti dei comportamenti, comprensibili solo se inseriti in un contesto interazionale” (1983, p. 261).
Dall’altra parte, nel comportamentismo moderno, il concetto di interazione era già stato sviluppato, negli anni ’50, a sua volta da Jacob Robert Kantor, la cui sistematizzazione teorica è nota come intercomportamentismo.
Infatti Kantor descrive il comportamento umano “come una sequenza di interazioni fra un organismo, inteso come unità biopsicologica unica e irripetibile, e l’ambiente funzionale inteso come campo all’interno del quale hanno luogo le interazioni” (Perini, 2001).
Bibliografia
Fish, R., Weakland, J.H., Segal, L. (1983) Change:le tattiche del cambiamento. Astrolabio, Roma.
Gherardelli, F. (2009) Sulle ali del panico: come superare rapidamente il panico, le fobie e le ossessioni. Aurelia, Treviso.
Haley, J. (1987) Cambiare gli individui. Astrolabio, Roma.
Perini, S. (2001) Considerazioni sul concetto di normalità nello sviluppo cognitivo. In Moderato P., Rovetto F. (a cura di) Psicologo: verso la professione. McGraw-Hill, Milano.
Watzlawick P., Weakland J.H., Fisch R. (1974) Change. Astrolabio, Roma.
Watzlawick P. (1984) Il linguaggio del cambiamento. Feltrinelli, Milano.